...  l'Emigrazione

HomePage

Aggiornamenti

Bacheca

Fonti - Bibliografia

Sostenitori

 

Rubriche

Rivisondoli in cartolina

La Voce di Rivisondoli

Gli Altipiani nella Storia

 

La storia dell'emigrazione rivisondolese è intimamente commessa con quella ben più ampia dell'emigrazione delle popolazioni dell'Italia Meridionale.

Per secoli, tutta la penisola italiana fu divisa in stati feudali, e spesso le potenze straniere ne avevano il controllo, anche diffuso, grazie alle relazioni di parentela tra i vari regnanti. In tale situazione frammentaria il sistema economico veniva regolato dal sistema feudale, specie nel Regno delle Due Sicilie, il che permetteva che la proprietà terriera, tradizionalmente ereditaria, determinasse il potere politico e quindi lo status sociale di ogni individuo. In questo modo, le classi povere non ebbero praticamente alcuna possibilità di migliorare la propria condizione.

Nel 1860 il Regno delle Due Sicilie fu annesso alle restanti regioni italiane, con la conseguente depressione economica causata dalle politiche "colonizzatrici" di una certa classe politica sabauda, fautrice non certo disinteressata dell'Italia "unita". Si aggiungano poi alcune calamità naturali quali le eruzioni del Vesuvio e dell'Etna ed il terremoto del 1908 che causò oltre 100.000 vittime nella sola città di di Messina. Per molti Meridionali  l'unica via di sopravvivenza fu allora l'emigrazione. Il periodo interessato dal fenomeno va dal 1870 al 1914 circa, ove la prevalenza del flusso migratorio si ebbe proprio dalle regioni meridionali.

 
Emigranti su un bastimento in partenza per " la Merica"   Ellis Island - N.Y.
(foto dalla rete)
 
Venezuela
-
-
-
-
-
-
 
Clicca sulla foto per visionare un filmato sull'emigrazione Abruzzese, disponibile da una collaborazione con Arcoiris Tv  

Anche a Rivisondoli l'emigrazione ha avuto come punto d'origine la povertà sempre più diffusa, e la voglia di riscatto di una non trascurabile fascia della popolazione, insediata in un contesto socioeconomico sopraffatto progressivamente dalla crescente pressione demografica. L'evoluzione della popolazione censita passa infatti dalle 1.813 unità dell'anno 1861, con un picco di 2.301nell'anno 1911, per tornare ai 1.855 abitanti nell'anno 1921.

Sul finire del 1800 Rivisondoli non godeva di una florida economia, vuoi per la crisi endemica della scarsa agricoltura di montagna, che per la crisi sempre più accentuata della pastorizia. La risistemazione della statale 17 e la costruzione della ferrovia Sulmona-Isernia ebbero soltanto delle ricadute marginali e limitate nel tempo presso le classi meno agiate del nostro paese. Il  sostentamento principale per la maggioranza dei Rivisondolesi restava quindi l'agricoltura, esercitata  con fatica ed il duro lavoro delle braccia e degli animali. Solo dagli scarsi terreni pianeggianti si ricavava  poco più del mero sostentamento famigliare, ed i pochi proprietari terrieri vivevano di rendita, poco più che parassitaria. Da questo poco consolante quadro socio-economico di determinò per buona parte della popolazione, già a partire dal 1870, la necessità di cercare nell'emigrazione la possibilità di sopravvivenza e di riscatto della propria condizione sociale.

Gli alti salari offerti al mercato nordamericano, la maggiore facilità e rapidità di guadagni consentita dall'industria negli Stati Uniti, concorsero ad indirizzare il flusso dell'emigrazione dall'Italia, che Rivisondoli ed i paesi viciniori ricalcarono in pieno. Essa ebbe come destinazione prevalente il Nordamerica, e si caratterizzò sin da subito come un'emigrazione di lungo periodo, priva di progetti concreti di ritorno in Patria. Una consistente corrente migratoria si avviò verso gli stati del Sud America, Venezuela ed Argentina in testa, ove specie nella prima si ebbe una consistente colonia Rivisondolese, tutt'oggi ancora presente.

L'emigrazione verso i paesi europei ebbe come destinazione soprattutto quelle nazioni in sviluppo come Francia, Svizzera, Belgio e Germania e veniva considerata, almeno nelle intenzioni iniziali, come un'emigrazione limitata nel tempo, per poter lavorare e guadagnare per realizzare un futuro migliore in Italia. Propositi questi che non si realizzarono appieno, e molti degli emigranti rivisondolesi sono rimasti nei paesi di emigrazione.

Questa sezione del portale consentirà al navigatore di accedere direttamente alle sottosezioni specifiche per ciascuna delle destinazioni prevalenti e più significative dell'emigrazione rivisondolese, ove mostreremo in maniera organica notizie, documenti, storie, curiosità ed immagini di elevato valore di caratterizzazione ed identità paesana. Nei box che seguiranno in questa pagina, che possiamo definire "copertina di contenimento", cercheremo di fornire sinteticamente un quadro il più completo  possibile del fenomeno migratorio nazionale, in tutti i suoi aspetti culturali, sociali ed emozionali.

   

L'emigrazione è un capitolo doloroso della storia nazionale, e particolarmente sentito nella nostra regione. Un fenomeno che ha disgregato interi gruppi familiari, e che sotto il profilo umano ha costituito un dramma sia per coloro che sono partiti che per chi è rimasto nei paesi d'origine.

 Non c'è famiglia del ceto popolare da cui non si distacchino una o più persone.

Molti emigranti lasciarono a casa genitori, mogli e bambini, perché determinati a ritornare, ed in parecchi riuscirono nell'intento. In effetti l'emigrazione rappresentò il riscatto dello stile di vita italiano, laddove quanto si riusciva a risparmiare del guadagno non certo facile, ma sicuramente superiore a quanto ottenibile in patria, veniva  spedito a casa per contribuire al mantenimento della struttura tradizionale. Piuttosto che una sistemazione permanente, si era alla ricerca della possibilità di lavorare per un salario (relativamente) alto, così da risparmiare, tra stenti e privazioni, abbastanza da poter tornare in Italia e permettere al nucleo famigliare di condurre una vita migliore.

La foto a lato, ripresa da Frank Monaco in uno dei nostri paesini, rappresenta mirabilmente lo stato d'animo conseguente all'imminente distacco per la partenza del giovane verso lidi lontani. Egli viene circondato dalle donne, nei tradizionali abiti scuri, quasi a protezione materna, che enfatizza l'abbraccio ideale del commiato da un lato, e dall'altro di difesa verso l'ignoto rappresentato dal baule e dal valigione in prespan in primo piano, con i classici legacci di spago.

Sul finire  del XIX secolo si avviò in Italia la “grande emigrazione”, che tra i suoi centri principali annoverò il porto di Napoli che con Palermo e Genova segnarono la rotta dei bastimenti, essenzialmente francesi, inglesi e tedeschi diretti oltre Atlantico.

La foto sulla sinistra ritrae appunto un folto gruppo di emigranti, uomini donne e bambini, che sotto il peso delle proprie mercanzie si accinge a salire sul treno che li porterà verso Napoli.

Siamo nei primi anni del Novecento, quando il fenomeno migratorio assunse l'aspetto di un vero e proprio fenomeno di massa, coinvolgendo sempre più spesso interi nuclei familiari, inseriti in flussi periodici determinati dal meccanismo noto quale "chiamata", che poteva giungere non solo da parenti ma anche da amici se non semplicemente da  compaesani.

Non è semplice al giorno d'oggi individuare e descrivere nella sua completezza lo stato d'animo di persone, le quali non si erano mai allontanate di fatto dal proprio paese, e che sotto la spinta della necessità di sopravvivenza si determinarono a solcare l'oceano per raggiungere la terra che nelle loro aspettative rappresentava il riscatto della propria grama esistenza.

Eppure il fenomeno migratorio diventò di massa, assumendo annualmente entità sempre più consistente.  Infatti si  passò da  una  media annua di 123.000 unità nel quinquennio dal 1869 al 1875, cifra già ragguardevole per il periodo, a quella record di 269.000 unità (negli anni dal 1887 a fine secolo), dirette essenzialmente oltre oceano causa l'incremento notevole dell'offerta di lavoro del mercato americano.

Nei primo ventennio del XX secolo spetterà all'Abruzzo il primato degli espatri rapportato alla popolazione residente, con un tasso di 33,7 emigranti ogni mille abitanti. Il principale mezzo di trasporto era costituito dal treno, che trasferiva questa massa di diseredati sino al porto di Napoli, principale punto d'imbarco per l'emigrazione oltre oceano.

Desideriamo sottolineare alcuni passi, tratti dal filmato della Arcoiris Tv, linkabile in questa pagina, che a ns. avviso sono più significativi nell’evidenziare oltre lo stato d’animo, anche le motivazioni che hanno spinto numerosissimi nostri connazionali a lasciare i propri paesi, dai quali non si erano mai allontanati oltre il colpo d’occhio del proprio campanile,  sopportando stoicamente difficoltà e soprusi di ogni genere:

 “… la miseria ricevuta dai padri, che l’avevano ereditata dai nonni, e contro la quale il lavoro onesto non è mai servito proprio a niente

  le ingiustizie più crudeli erano così antiche d’aver acquistato la medesima naturalezza della pioggia, del vento e della neve

 … la vita degli uomini, delle bestie, della terra sembravano così racchiuse in un cerchio immobile saldato dalla chiusa morsa delle montagne e dalle vicende del tempo.

Per dirla come Cesare Pavese – il Mondo venne a stanarli dalle proprie case con la fame –

 dalle lusinghe e false promesse dei numerosi agenti dell’emigrazione, talvolta persone senza scrupoli che approfittavano della disperazione e dell’ignoranza delle

persone per compiere truffe a loro danno, (Nitti) e tra costoro pare si nascondano i maggiori sfruttatori dell’emigrazione, che vendono in precedenza il lavoro degli emigranti che ingannano su tutto – l’emigrante è la bestia da tosare e già prima di partire è stato derubato dei pochi risparmi che gli dovevano servire nel nuovo mondo a superare le prime difficoltà … “

I bastimenti che tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento lasciarono le coste italiane in direzione del Nuovo Mondo, trasportarono frotte di emigranti costretti a condizioni a dir poco disagiate. Ammassati normalmente in cabine di terza classe e sempre più spesso abbandonati a se stessi sui ponti delle navi, addossati agli argani o ai gruppi di manovra e le scialuppe di salvataggio.

Teodorico Rosati, Ispettore sanitario sulla nave degli emigranti, così descriveva uno dei tanti viaggi dell'epoca: "Accovacciati sulla coperta, presso le scale, con i piatti tra le gambe, e il pezzo di pane tra i piedi, i nostri emigranti mangiavano il loro pasto come i poveretti alle porte dei conventi. E’ un avvilimento dal lato morale e un pericolo da quello igienico, perché ognuno può immaginarsi che cosa sia una coperta di piroscafo sballottato dal mare sul quale si rovesciano tutte le immondizie volontarie ed involontarie di quella popolazione viaggiante”.

La traversata in tale condizioni, era una vera e propria avventura che durava dai 25 ai 30 giorni , talvolta anche di meno, e dipendeva dalle "navi di Lazzaro" come vanivano definite queste "carrette del mare", dove si viveva in condizioni di sovraffollamento incredibile, tutt'altro che umane e, non a caso, ci sembra anticipassero la storia dei giorni nostri, con i naufragi all'ordine del giorno. Il più noto forse è quello della Sirio, avvenuto tragicamente nei primi anni del Novecento.

Inizialmente il flusso migratorio partiva essenzialmente da Genova, e soltanto in un secondo momento verranno allestiti e strutturati i porti di Palermo e di Napoli.

Quest'ultimo fu lo scalo principale per la partenza dei nostri corregionali, ma ci fu chi partì anche dal porto francese di Le Havre, perché o non in regola con la legge, o forse più semplicemente perché da lì l'imbarco costava molto meno.

D'altronde non era quasi mai il singolo emigrante che decideva del proprio futuro; all'emigrazione erano interessate, non certo altruisticamente, le numerose agenzie che si occupavano del viaggio di quella massa di  diseredati.

Nel 1897 una circolare governativa, definiva gli agenti come "speculatori", che incassato il prezzo del viaggio, per il quale i contadini spesso avevano venduto tutti i loro miseri averi, li imbarcavano " a somiglianza di mandrie".

Il costo del viaggio era tutt'altro che trascurabile. Un'indagine svolta nel 1892 da Agostino Bertani, nell'ambito dell'inchiesta agraria Jacini sulle condizioni nelle campagne, svelò che un contadino della Basilicata, che con il suo duro lavoro guadagnava giornalmente non più di una lira, dichiarò d'averne  dovute pagare ben 235 all'agente per l'organizzazione  del viaggio per l'emigrazione.

Il viaggio, specie nei primi anni del fenomeno migratorio, costituì per molti un'esperienza molto dura, se non addirittura traumatizzante per alcuni. Tra gli episodi luttuosi verificatisi in quegli anni, oltre ai numerosi naufragi ci limitiamo a segnalare i 18 morti del piroscafo "Matteo Bruzzo" per mancanza di viveri nel 1888, e l'anno successivo i 27 emigranti deceduti per asfissia sul piroscafo "Frisca"

"Quei viaggi penosi sugli oceani" come vennero definiti da "La "Domenica del Corriere" del 2-6-1901. Secondo T. Rosati "l'emigrante si sdraia vestito e calzato sul letto, ne fa deposito di fagotti e valigie, i bambini vi lasciano orine e feci, i più vi vomitano" . Dopo qualche giorno ogni letto è "una cuccia da cane"

Questi viaggi rappresentarono inoltre un tremenda strage di bambini. Spiega Augusta Molinari ne "La storia dell'emigrazione italiana" edita da Donzelli, che il viaggio nel nuovo mondo si concludeva spesso per i più piccoli in una strage [Sono soprattutto le epidemie di morbillo e varicella a provocare decessi di massa. La mancanza di cure appropriate, il degrado ambientale dei dormitori, spesso l'incompetenza del personale medico, facevano assumere a quella che era una normale patologia infantile il carattere di una pericolosa epidemia. I giornali sanitari di bordo registrano, nei primi anni del Novecento, alti tassi di morbilità e di mortalità infantile per epidemie di morbillo e di varicella. Sul piroscafo "Bologna" in rotta verso l'Argentina, scoppia nel febbraio 1909 un'epidemia di morbillo. Ne restano contagiati duecento bambini e una ventina di adulti. Dei bambini molti sono neonati che non sopravvivono alla malattia.Su di un totale di cinquanta decessi, venti sono di neonati e quindici di bambini>]

L'unica legge che prevedeva una certa tutela dei migranti fu varata dal Parlamento il 30 Dicembre 1888 con il protocollo n. 5877. Essa affidava esclusivamente alla polizia il controllo di chi si occupava di reclutare la manodopera degli emigranti, nel tentativo di arginare il deprecabile fenomeno dei numerosi abusi, limitandosi però a stabilire prevalentemente norme comportamentali. Superfluo sottolineare che i risultati ottenuti non mutarono di fatto le condizioni dei nostri connazionali.

Soltanto l'approvazione di una legge organica sull'emigrazione, che definì tra l'altro un organismo tecnico preposto all'applicazione specifico della legge stessa, determinò di fatto la fine dei soprusi perpetrati dagli speculatori. Con la legge del 31 Gennaio 1901 vennero istituiti organismi pubblici dedicati a fornire il più ampio spettro di informazioni a coloro che desideravano emigrare; il trasporto degli emigranti fu consentito esclusivamente nel rispetto di cautele e garanzie specifiche, ma soprattutto furono abolite le agenzie e le relative subagenzie. Fondamentale fu per il fenomeno migratorio la definizione, in tempi successivi, di una normativa specifica per la tutela legale, e la disciplina degli arruolamenti per il lavoro all'estero. Si pose poi finalmente l'accento sulla salvaguardia dell'aspetto sanitario ed igienico degli emigranti, non solo nei porti d'imbarco, ma soprattutto durante il viaggio, cosa che rese finalmente un aspetto più umano alle condizioni di coabitazione forzata, nelle anguste cabine di terza classe , prevalentemente utilizzate dagli emigranti.

A conclusione dei capoversi relativi alle tutele realizzate a favore degli emigranti, realizzazione che richiese anni di infaticabile impegno da parte di pochi illuminati parlamentari, ci è gradito segnalare che tra questi spicca il lavoro tenace svolto dal barone Giuseppe Andrea ANGELONI di Roccaraso, che nel 1851, all'età di soli 25 anni, entra a far parte del Comitato dell'emigrazione italiano che venne istituito a Genova.

 

sequenza di 6 immagini - per lo scorrimento della slide-show cliccare sulle frecce di direzione
 

Completiamo questa breve disanima sulle condizioni di viaggio degli emigranti italiani, inserendo una sequenza di immagini reperibili in rete.

Per chi intendesse approfondire l'argomento "Emigrazione" a livello nazionale,  segnaliamo i seguenti siti che a nostro parere affrontano efficacemente tutti i temi correlati con questo fenomeno sociale, che ha caratterizzato la storia anche del nostro piccolo paese.

.

Ammonticchiati come giumenti

- Fonte: "La Domenica del Corriere" - Nel disegno di Beltrame sulla "Domenica" del Corriere dell'8-12-1901, la partenza da Genova di contadini che De Amicis descrisse "ammonticchiati come giumenti"

Desideriamo sottolineare che i siti sopra evidenziati hanno costituito (dopo un meticoloso lavoro di ricerca e di sintesi) la fonte principale tra quelle che ci hanno permesso di impreziosire diverse pagine del nostro portale con l'elaborazione dei testi, completati da immagini e suoni.


torna ad inizio pagina

   torna alla slide-show

                                                 

© COPYRIGHT.
 
Le foto pubblicate in questa pagina sono protette a norma di legge; necessaria specifica autorizzazione scritta dei proprietari per qualsivoglia utilizzo al di fuori del sito rivisondoliantiqua.it.

L'emigrazione ha segnato profondamente la storia dell'Abruzzo, in special modo quella di piccoli paesi, che videro periodicamente spopolarsi le proprie abitazioni, ridursi progressivamente il numero degli abitanti. Commovente era il momento della partenza, quando molti emigranti al momento di varcare l'uscio di casa ne abbracciavano lo stipite in pietra, e raccoglievano in un fazzoletto un pugno di terra da portare con sè.

Questo appena descritto era l'incipit che la nonna di chi scrive queste note, anteponeva sempre al racconto sui viaggi del nonno, il quale "pe tre vote era jute alla Merica pe fatià alla ferruia". Racconto che si arricchiva, ad ogni riproposizione, di qualche particolare inedito, o forse semplicemente sognato; ma noi bambini percepivamo l'orgoglio con cui nonna sottolineava "re secrifizi che Antonie fova fatte alla Merica p'accattà la casa", e stimolavamo continuamente nonna Elvira al racconto. Quel gesto ripetuto tre volte da mio nonno, mi restò scolpito nella mente, e molti anni dopo, in terra straniera, mi portò a scoprire la fondazione Ellis Island, che mi permise d'integrare con dati oggettivi il racconto di nonna, ma soprattutto a conferirgli una precisa contestualizzazione temporale: gli anni 1899 - 1905 - 1910.

Da allora, erano i primi anni settanta, non ho più smesso di cercare, e prevalentemente in Germania ove risiedevo per lavoro, ho scovato tanta documentazione sul nostro territorio, che in gran parte è già presente in varie pagine di questo sito. Anche gli amici di Rivisondoli o Roccaraso ai quali a volte sottoponevo i documenti di viaggio di un loro lontano parente passato per Ellis Island, coinvolti emotivamente nel "flashback" sulle loro radici, hanno avviato ricerche che inevitabilmente si sono estese a diversi altri discendenti degli emigranti rivisondolesi da fine ottocento.

La sede del museo cittadino in via di ristrutturazione a Rivisondoli, potrà essere la naturale collocazione ove far convergere tutti questi lavori.

Catalizzatore e stimolo a questa  questa iniziativa è stato un DVD che avemmo la fortuna di visionare nell'estate del 2004. Scoprimmo allora che Cansano, ai piedi della Maiella ad appena una ventina di chilometri da Rivisondoli, custodiva un vero gioiello: il Museo dell'Emigrazione. Ma quello che mi colpì nel profondo fu la breve introduzione con cui l'Autore avviava la visione del filmato , le cui parole riportiamo integralmente:

" Questa è la  casa di mio nonno; da qui lui partì per le Americhe. Avendo passato la fanciullezza qui, io ho sentito da mia madre narrare cosa fece mio nonno quando partì:  prese un po' di terra, la mise nel fazzoletto e baciò lo stipite della sua casa, come facevano tanti altri emigranti. E in questo gesto c'era il tentativo di appropriarsi di un pezzo della sua vita e portarsela con sé. E quindi da qui l'esigenza di ricostruire questo itinerario, e ricostruendo la sua storia ho inconsapevolmente ricostruito la storia di milioni di emigranti che passarono per Ellis Island. "

Sorprendente !!!! A cavallo del 19° secolo, due figli d'Abruzzo a pochi chilometri di distanza l'uno dall'altro ritualizzavano il medesimo gesto, che inconsapevolmente segnò l'anima dei nipoti dei quali essi, a quell'epoca,  non avevano il pur minimo sentore. Quel gesto, conosciuto solo dai racconti, molti decenni dopo catalizzò in due coetanei, in circostanze diverse e distinti contesti sociali, la determinazione nella ricerca della propria identità paesana, delle proprie radici di figli della Maiella.

In questi anni ci siamo recati più volte a Cansano per visitare il museo, ed ogni visita ci ha regalato emozioni non ripetitive, e momenti di profonde, nuove riflessioni.

Ci lasciamo alle spalle l'altopiano del Quarto Grande, ove le mandrie al pascolo semibrado costellano ancor oggi la prateria. Il profumo del fieno falciato ci accompagna fino alla secolare faggeta del Bosco di S. Antonio, dove ci avvolgono l'immediata frescura e la "voce" del bosco. Scendiamo verso Cansano sovrastati dai rami degli alberi che da entrambi i lati del nastro d'asfalto si intrecciano a "tunnel", permettendo ai raggi del sole di filtrare a fatica tra le foglie, illuminandole ed accentuandone la saturazione cromatica. Ancora alcune curve, ed al diradarsi nel bosco appaiono sulla sinistra Colle Mitra, ed in lontananza, tra la bruma dell'orizzonte, la sagoma inconfondibile e massica del Corno Grande. Usciti dal bosco costeggiamo le ardite arcate dei ponti in pietra della ferrovia (ormai più che centenaria) ed ecco stagliarsi da un estremo all'altro dell'orizzonte, in un solo colpo d'occhio dal Porrara a Monte Amaro, passando per Guado di Coccia, lei, maestosa la Maiella Madre, abbacinante nel candore delle nevi che ne ricoprono le creste nei mesi invernali, suggestiva nella tonalità rosata dei calcari delle pietraie d'alta quota, nei tramonti estivi.

Nell'avvicinamento a Cansano questo sommariamente descritto è l'itinerario che ogni volta suscita in noi emozioni profonde e mai ripetitive; da Rivisondoli per Pescocostanzo, seguendo probabilmente il tracciato romano della via che collegava Sulmo ad Aufidenae.

E fu proprio nel raccoglimento del Museo dell'Emigrazione che quei volti, quegli sguardi smarriti, quegli occhi sgranati  ci indicarono d'improvviso la chiave di lettura alle emozioni provate nel nostro breve spostamento: anche noi cercavamo di saturare i nostri sensi delle immagini, dei profumi, delle voci del nostro territorio, per serbarle nell'anima, tornati in città, sino al nostro successivo soggiorno feriale. Ben più forte era il turbamento provato dagli emigranti, ben più lungo era il viaggio che affrontavano, ben più straziante era la loro nostalgia: la periodica visita al museo ci offriva in quel momento, e continua sempre ad offrirci, la possibilità, inizialmente inconsapevole, di avvertire seppure in dimensione infinitesimale le medesime vibrazioni dell'anima provate dai nostri antenati.

Emozioni tutte che non possiamo rendere appieno ricorrendo al solo utilizzo dello strumento informatico quale tramite evocativo; per tale motivo torniamo e ritorniamo al Museo, e con queste note desideriamo suscitare nei navigatori del sito, soddisfatta la curiosità iniziale, l'esigenza prepotente di visite successive ai diversi settori espositivi. Per superare questa nostra limitazione ricorriamo allora alle parole con cui l'ideatore del Museo desiderò identificare questa sua realizzazione : [[ .... un guardiano in grado di opporsi all’oblio di una parte importante della nostra storia, capace di ridare voce alle pietre mute. Raccogliamo dunque questa promessa e, tutti insieme, facciamo diventare questo luogo un approdo che illumina il ricordo dei nostri emigranti e non permettiamo a nessuno di spegnere questa luce. ]]

In questo spirito inquadriamo, contraccambiando, la disponibilità e la gentilezza della dr.ssa Ruscitti, direttrice del museo di Cansano, alla quale confermiamo la nostra incondizionata collaborazione nel fornire il supporto del nostro staff per contribuire a diffondere, non solo sul web, la conoscenza "world wide" del Museo, oltre che per l'Emigrazione, anche per la sezione dedicata ai rinvenimenti archeologici di Ocriticum.

Immagini e testi estrapolati dal Museo dell'Emigrazione di Cansano, su autorizzazione della gent.ma  dr.ssa  Giovanna RUSCITTI.

Desideriamo proporre ai visitatori alcune tra le immagini presenti nel Museo dell'Emigrazione a Cansano, quale testimonianza della validità iconografica delle diverse sezioni di cui si compone l'esposizione.

Scegliamo quale apertura della sequenza quella che identifica il DVD prodotto in occasione dell'inaugurazione del Museo, nel gennaio 2004, sottolineando in tal modo all'Autore il nostro plauso, e la riconoscenza per la pregevole opera prodotta.

L'Autore, tra l'altro docente presso l'Istituto Universitario Orientale di Napoli dove ha insegnato "Storia dell'emigrazione italiana in America", per la compilazione del DVD ha utilizzato parte delle ricerche effettuate per la pubblicazione del volume dal medesimo titolo, e che è stato inserito nella Biblioteca del Congresso Americano.

La pregevolezza dell'opera ha tra l'altro fornito la base scientifica ed i materiali per la mostra ed il convegno di studi "Ellis Island: italiani d'America" organizzati dal Comune di Roma presso la "Casa della Memoria e della Storia".

Proseguiamo la presentazione con questa celebre immagine, emblema della "grande emigrazione" e che negli U.S.A. è considerata uno dei documenti sulla nascita della nazione americana.

Sulla destra presentiamo una delle più note immagini fotografiche dell'emigrazione: la foto di Maria Sciccolone (1905 - Ellis Island), una donna appena sbarcata su un lontano molo al di là dell'Oceano con un vestito di foggia contadina sgualcito dal lungo viaggio, con il viso bruciato dal sole e con un fazzoletto intorno alla testa.

La donna ha in braccio un bambino di pochi mesi e al suo fianco c'è un altro figlio, gravato dal peso di un informe fagotto, che tiene per mano una sorellina ancora mal ferma sulle gambe.

Tutti hanno lo sguardo fisso sull'obbiettivo che li ritrae con l'espressione attonita e sperduta di chi si trova in un luogo sconosciuto ed ostile.

Gli elementi caratterizzanti dell'immagine sono quattro: il primo è il luogo dove è stata scattata la foto, nel caso New York; il secondo è il soggetto, una contadina meridionale; il terzo è il suo volto, precocemente invecchiato da una vita dura che fa risaltare la sua appartenenza ai ceti più umili della popolazione; la presenza dei suoi figli in quarto luogo, richiama subito il carattere di esodo familiare assunto dalla partenza, rimandando così al dolore di un allontanamento definitivo dall'Italia.

Noi sottolineiamo la determinazione che traspare comunque dall'espressione di Maria, decisa ha dare con questo viaggio una svolta alla propria esistenza ed un futuro migliore ai propri figli. Di questi il più piccolo trova naturale conforto ancora tra le braccia della mamma, mentre la più grandicella si accosta timorosa al fratello maggiore, protettivo nel prenderla per mano, ancora adolescente, ma già immedesimato nel ruolo si sostegno, non solo fisico, ai propri familiari.

Identica volitiva determinazione leggiamo nello sguardo deciso della emigrante che presentiamo nell'immagine d'apertura di questa pagina, anche lei attorniata dai figli, e confortata dalla presenza del marito lui gravato, non solo metaforicamente dal peso della famiglia.

Fondamentale e tutt'altro che marginale è stato anche nel fenomeno dell'emigrazione il ruolo svolto in silenziosa umiltà dalla donna, spesso nelle situazioni più impegnative e meno appariscenti.

Quella che presentiamo nella prossima immagine rappresenta la situazione abitativa che per molti nostri connazionali costituì la prima possibilità al loro arrivo nel "Nuovo Mondo".  Misere  baracche  costruite alla  meglio  con  materiali  di  risulta,  all'interno  dei  grandi cortili dei casermoni tipici  della edilizia

popolare statunitense d'inizio ventesimo secolo.

Desideriamo lasciare ai visitatori del sito la serenità di ascoltare le vibrazioni dello spirito suscitate dalla visione della foto.

Limitiamo le nostre considerazioni alla austera dignità della donna con  il  bambino in braccio, comunque elegante nella semplicità dell'abbigliamento, tipico ai ceti più umili della popolazione italiana delle campagne.

Noi attiriamo l'attenzione al fazzoletto sul capo, ripiegato nella foggia caratteristica anche a Rivisondoli.

 

La foto sulla destra, ripresa a New York nel 1911, ci mostra tre emigranti italiane, quella in primo piano con  una grande gerla sotto il braccio, mente l'altra in secondo piano letteralmente sommersa dalle coperte che trasporta.

La foto sulla sinistra, anch'essa dovuta alla cortesia del Museo dell'Emigrazione di Cansano, vuole essere il nostro tributo alla Donna, rimasta spesso nell'ombra e senza il dovuto riconoscimento dei sacrifici, dell'impegno e dell'energia con i quali ha sempre accompagnato l'Emigrante  nel suo impegnativo percorso.  Il tutto sempre ingentilito dalla dolcezza, dal sorriso e dall'amore che ha sempre accompagnato alla sua presenza, e che sempre ha saputo suscitare in coloro che la affiancavano.

Si tratta certamente di una ragazza, con l'abbigliamento tipico delle donne della nostra terra, ove la particolarità della circostanza è esaltata dal pizzo che impreziosisce il risvolto della candida camicia, che lascia vezzosamente intravedere la sottoveste. Il fazzoletto sul capo è acconciato analogamente a quanto indossato dalla mamma con in braccio il bambino, presente nella foto sopra, anch'essa pervasa da analoga tenerezza.

Ed in questa immagine risalta la timida dolcezza dello sguardo che esalta l'età del personaggio, che si affaccia con speranza al Nuovo Mondo, la cui origine contadina è evidenziata anche dal colorito del volto non ancora bruciato dalla fatico sotto il sole. Ben diversa l'espressione di energica volontà di riscatto che leggiamo sul volto della emigrante nell'immagine d'apertura di questa pagina, o su quello di Maria Sciccolone due foto più in alto.

E numerosi sono i volti delle donne incorniciati dal fazzoletto che avvolge il capo, che appaiono nella foto che segue, confuse nella massa di emigranti che affollano il ponte del piroscafo Patricia, nel dicembre 1906 in navigazione verso New York.

Ed è sufficiente lo svolazzare di una sottana per rendere più lieve il momento vissuto. E' quanto traspare dalla foto successiva, ove si ha quasi la sensazione di trovarsi in una delle balere di campagna, in un pomeriggio domenicale.

Le scialuppe di salvataggio sullo sfondo, e la struttura metallica in primo piano ci riportano alla realtà : il viaggio verso il sogno tanto mitizzato della lontana "Merica".

 
 
 

© COPYRIGHT.
 
Le foto pubblicate in questa pagina sono protette a norma di legge; necessaria specifica autorizzazione scritta dei proprietari per qualsivoglia utilizzo al di fuori del sito rivisondoliantiqua.it.

 
 
 

Ed è sempre LEI con la sua presenza che addolcisce la tristezza del momento, distogliendo la mente degli emigranti dai pensieri che l'affollavano accavallandosi l'un l'altro, Scorrendo con attenzione l'immagine, si scorgono infatti sia gli uomini attratti dal ballo della coppia degli "ardimentosi",  che sulla sinistra un ragazzo intento nell'approccio con una sua giovane coetanea.

Purtroppo la DONNA ha subito maggiore angheria rispetto agli uomini anche al momento della visita medica cui venivano sottoposti tutti gli emigranti per ottenere il permesso d'accesso. E se non giudicati sani o non si superavano i test intellettivi si veniva rimpatriati all'istante.

Provate allora ad immaginare lo stato d'animo delle ragazze o di queste giovani donne, vissute sino ad allora nel mondo arcaico delle nostre campagne, nella società di fine ottocento, costrette a spogliarsi di fronte ad occhi estranei e scrutate anche nell'intimo.

A dire il vero le autorità Statunitensi cercarono di alleviare i disagi, facendo presenziare alle visite donne della medesima nazionalità, che masticavano anche un po' d'inglese, ma il sogno della "Terra Promessa" tanto agognata si materializzava in tal modo in tutta la sua disumana crudezza,.... ed era, per tutti, solo l'inizio.

Concludiamo questa breve parentesi dedicata alla DONNA emigrante con lo sguardo della bambina dell'ultima foto. [ foto dalla rete ]

In quegli occhioni sgranati pervasi da un misto di timore e di curiosità vogliamo vedere l'anelito del NUOVO, l'ansia del SOGNO che hanno sorretto le DONNE della nostra terra, tutte le nostre nonne nell'intraprendere quel salto nell'ignoto che permise loro, ed oggi a noi, di riscattare la dignità del vivere.


torna ad inizio capitolo

 

                                                            

© COPYRIGHT.
 
Le foto pubblicate in questa pagina sono protette a norma di legge; necessaria specifica autorizzazione scritta dei proprietari per qualsivoglia utilizzo al di fuori del sito rivisondoliantiqua.it.

Sin dal 1894 le autorità statunitensi trasformarono l’isola di Ellis Island in un centro d’isolamento per il controllo dei flussi migratori che convergevano sulla costa occidentale degli U.S.A. e lì oltre 2 milioni di italiani tra uomini, donne, bambini, delimitati in strutture simili a gabbie venivano sottoposti a rigidissimi controlli.

Il Museo dell’Emigrazione di Cansano raccoglie alcune immagini, tra le più significative e le più toccanti degli avvenimenti che segnarono l’anima dei nostri antenati.  Ad anni di distanza furono proprio queste foto scovate ad Ellis Island che segnarono indelebilmente nel profondo Nino di Paolo, ispirandolo nella stesura del libro sull’emigrazione, e nella raccolta di tutto il materiale iconografico che costituisce il nucleo portante del Museo.

In questa panoramica della foce dell'Hudson nel 1932, risalta evidente in basso a sx. l'isola di Ellis Island, ed immediatamente alla sua dx. l'isolotto ove si staglia

la mole della Statua della Libertà.

New York occupa l'intero orizzonte, e lo sguardo viene magneticamente attratto dai grattacieli di Manhattan, incombente su Ellis Island.

”  Succedeva sempre che ad un certo punto, qualcuno, alzava la testa e…….la vedeva.

Voglio dire…..ci stavamo in più di mille su quella nave, tra ricconi in viaggio ed emigranti, e gente strana, e noi….Eppure c’era sempre uno, uno solo che per primo…. la vedeva.

Magari era li che stava mangiando, semplicemente, sul ponte, magari era li che si stava aggiustando i pantaloni, alzava la testa verso il mare e….la vedeva.

Allora s’inchiodava li dov’era, gli partiva il cuore a mille……si girava verso di noi e gridava, piano e lentamente: La MERICA!  ”


La scena appena descritta fu narrata dal saggista Alessandro Baricco, nel raccontare l’arrivo a New York del piroscafo Virginia, uno dei tanti che collegava ad inizio ‘900 le due sponde dell’Atlantico.

Analoga esperienza hanno senz’altro vissuto le moltitudini di emigranti italiani che precedettero, o seguirono l’episodio narrato, nel raggiungere la tanto agognata “Merica”.

Il sogno si infrangeva però bruscamente sulla sponda di Ellis Island, l'isola che tutti gli emigranti definirono, in un modo o nell'altro, “ l’Isola delle lacrime ”.

Immagine del 1912, nella quale il corpo principale di Ellis Island veniva individuato con la medesima espressione, nelle  lingue dei più numerosi flussi di emigranti.

 
 

torna ad inizio capitolo

 

                                                            

 


Collaboratori d'edizione: Giovanna R.,  Bruna di G. , Carmela  &  Pasquale di G. ,  ( Cansano );  Fabio C.,  Adriana  &  Chiara G.,  ( Roma ).

>>>>>    Pagina  in   allestimento   <<<<<              >>>>>    Pagina  in   allestimento   <<<<<            >>>>>    Pagina  in   allestimento   <<<<<